I moderni flash permettono di calcolare automaticamente la giusta quantità di luce utile ad illuminare una determinata scena, comunicano con la fotocamera scambiando con essa i dati relativi ai parametri di esposizione, bilanciamento del bianco e focale in uso. L’elettronica imposta l’apertura della parabola e la durata del lampo flash, interrompendolo non appena la luce diventa sufficiente all’esposizione. Per capire come viene effettuata la corretta esposizione in luce artificiale ripercorriamo come la tecnologia flash si è sviluppata fino ai moderni modelli digitali.
Prima degli anni trenta non si può parlare propriamente di flash come lo si conosce oggi poiché il lampo luminoso veniva assicurato dalla combustione di una piccola quantità di polvere di magnesio, come è sicuramente capitato di vedere in film ambientati in quegli anni. In seguito lampade ad arco voltaico hanno vissuto un transitorio prima di arrivare alla struttura basata sui tubi di Geissler. Si immagini un tubo di vetro all’interno del quale è contenuta una miscela di gas nobili, ad esempio xenon, alle cui estremità vengono posti due elettrodi collegati ad un condensatore. Il tubo è avvolto da una spira di filo conduttore collegato in bassa tensione alle batterie che alimentano il flash: grazie alla corrente che vi scorre è possibile ionizzare il gas rendendolo leggermente conduttore.
Esempi di Tubi di Geissler
Nel contempo il condensatore carico è pronto a rilasciare un picco di alta tensione ai capi del tubo di Geissler generando il lampo luminoso di durata infinitesima, ovviamente in seguito alla pressione del pulsante di scatto o chiudendo il relativo contatto elettrico. Il processo chiama in gioco i salti di orbitali degli elettroni che compongono gli atomi di gas; senza addentrarci nei particolari vi basti sapere che per ottenere la quantità di luce necessaria ad uso fotografico c’è bisogno di utilizzare tubi grandi, contenenti molto gas oppure lasciare che il condensatore continui a scaricare per un periodo più prolungato in maniera da assicurare una generazione continua di lampi che il nostro occhio percepisce come un unico flash luminoso. Si capisce come questo sistema sia molto limitante poiché il fotografo non ha praticamente controllo sulla produzione luminosa e quindi sull’esposizione, a meno della scelta del diaframma e della distanza del soggetto.
Un leggero passo avanti viene fatto dotando il flash di una fotocellula che legge la luce riflessa ed interrompe il lampo non appena giudica sufficiente il livello di esposizione, a patto di impostare il valore di diaframma in uso sul flash. Tutto ciò svincola il fotografo dalla variabile distanza del soggetto.
Il vero salto innovativo viene fatto da Olympus, che nel 1979 introduce sulla Om-2 il primo automatismo TTL, acronimo di Trough The Lenses, attraverso le lenti. Grazie all’utilizzo di un sensore posto in prossimità del box specchio, viene misurata la luce riflessa dalla pellicola. Questa modalità di lettura prende il nome di OFF THE FILM, più conosciuta sotto l’acronimo OTF. L’innovazione risiede proprio nel fatto che la cellula OTF è posta all’interno della fotocamera e misura la luce a livello del supporto di registrazione, a valle di obiettivo e filtro. Questo sistema richiede che fotocamera e flash siano in grado di comunicare tra loro in maniera da dosare la corretta emissione luminosa. Grazie al TTL viene abbattuta anche la frontiera che obbligava a lavorare con diaframmi prefissati di volta in volta: basta impostare i parametri di scatto all’interno del range dei tempi di synchro flash e non eccedere il numero guida dell’illuminatore per ottenere automaticamente l’esposizione corretta.
Corretta… il concetto di correttezza è andato via via evolvendosi nel tempo ed il sistema TTL che per un decennio sembrava essere l’approdo ultimo dell’illuminazione artificiale si è scontrato con le innovazioni che interessavano le fotocamere e con le esigenze dei fotografi. Quasi tutte le case ed i modelli cominciavano ad adottare sensori per la misurazione in luce continua (il sensore che comanda l’esposimetro) che effettuavano una lettura valutativa multizona, rispetto al vecchio sistema a lettura media pesata al centro; la cellula OTF al contrario rimaneva sempre la stessa e per di più la differenza di lettura della prima, effettuata a livello del pentaprisma, con la seconda alloggiata nel box specchio diventava sempre più marcata.
La struttura TTL non permetteva di illuminare adeguatamente un soggetto decentrato e le riprese in luce mista non restituivano sempre risultati ottimali. E’ a questo punto che Canon rivoluziona il sistema TTL a metà degli anni ’90 con la EOS 50, facendo si che il calcolo di emissione flash ed esposizione venisse effettuato a monte dello scatto. Nella pratica il sensore OTF viene eliminato mentre la cellula a luce continua, oltre a fornire dati all’esposimetro, invia informazioni anche al processore della fotocamera accoppiato ad un flash dedicato. Un brevissimo lampo pre-flash viene emesso qualche millisecondo prima del sollevamento dello specchio e dell’apertura dell’otturatore, non visibile dall’uomo, ma abbastanza per integrare algoritmi che tengano conto della distanza dal soggetto, del punto di messa a fuoco e della presenza o meno di superfici riflettenti o scure che potrebbero falsare l’esposizione.
Si capisce bene quali enormi vantaggi conseguano da un sistema di questo tipo che Canon ha chiamato E-TTL; anche Nikon non ha atteso oltre mettendo a punto sistemi equivalenti a partire dalla F5 ed F100 con il I-TTL evolutosi a D-TTL nelle moderne digitali. E’ sempre Nikon che affina ancora di più i sistemi avanzati TTL attraverso il rilevamento MATRIX 3D: grazie alla valutazione della distanza, il processore è in grado di calcolare se un determinato valore di luminanza letto dalla cellula multizonale debba essere compensato o meno in funzione della distanza dalla fotocamera, sia di quest’ultimo che di altri settori adeguatamente pesati all’interno della scena. Canon e Konica-Minolta hanno saputo tener testa a questa innovazione rispettivamente con i sistemi E-TTL II e ADI, adattando il NG del flash in funzione della distanza del soggetto.
Grazie all’introduzione dell’elettronica i flash portatili sono diventati piccoli gioielli della tecnica capaci delle stesse funzioni avanzate dei flash professionali. Una fra tante è la possibilità di sincronizzare il lampo luminoso con tempi di scatto inferiori alla velocità di synchro flash della fotocamera oppure quella di poter collegare in modalità wireless più unità fra loro in modo che comunichino per effettuare letture combinate ed ottenere l’esposizione corretta. Fatta questa breve carrellata dello stato dell’arte potete decidere se lasciar esporre automaticamente il sistema fotocamera-flash oppure potete migliorare le vostre riprese sfruttando al massimo quello che la tecnologia vi mette a disposizione.